Trump: "Pena di morte". Scattano i controlli social

Scritto il 13/09/2025
da Marco Liconti

Il tycoon: "Pacificare? Non mi importa". Poi attacca i democratici. Fari sui post degli stranieri: visti a rischio

Come al solito, è Donald Trump a dare il "la" al dibattito, nelle ore in cui l'Fbi conferma l'arresto del 22enne Tyler Robinson e i dettagli sulla matrice di sinistra dell'assassinio di Charlie Kirk. "Un momento spartiacque nella storia americana", come l'ha definito il governatore repubblicano dello Utah Spencer Cox, che in conferenza stampa, ricordando la tragica stagione degli omicidi politici degli anni '60, da Jfk a Martin Luther King, ha invitato gli americani ad abbassare i toni. "La domanda è: che tipo di spartiacque? È un capitolo ancora tutto da scrivere. È la fine di un capitolo oscuro della nostra storia o l'inizio di un capitolo ancora più oscuro?", ha chiesto Cox.

La risposta di Trump, che poche ore prima si era fatto intervistare da Fox, alla necessità di "riunificare" il Paese, come pure aveva promesso nel discorso di inaugurazione, era stata tranchant: "Non me ne potrebbe importare di meno". Il tycoon ha caricato a testa bassa contro i "radicali di sinistra", che sono "il problema" perché "feroci, orribili e politicamente esperti". Il giorno prima, aveva invitato i seguaci di Kirk a reagire con uno spirito di "non violenza".

Questo il clima incendiario nell'America odierna, dove Trump ha anche annunciato, dopo Los Angeles e Washington, l'invio della Guardia Nazionale anche a Memphis, in Tennessee, altra città con gravi problemi di criminalità. E dove da destra, alle voci moderate come quella del governatore Cox fanno da contraltare le parole di Steve Bannon: "Siamo in guerra". O quelle di Stephen Miller, vice capo dello staff della Casa Bianca, politicamente il più influente nella West Wing, che si è spinto più in là, fino a definire l'intero Partito democratico "un'organizzazione estremista interna". Le avvisaglie c'erano state il giorno stesso dell'attentato a Kirk, quando lo speaker della Camera Mike Johnson aveva chiesto un minuto di silenzio in Aula e da alcuni banchi Dem si erano alzati dei mugugni che avevano dato vita a un inquietante parapiglia. Ma se da sinistra, pur criticando l'approccio di Trump, le voci ufficiali hanno risposto all'assassino dell'attivista conservatore con la dovuta condanna della violenza, online il clima è pestilenziale. Da un lato, si sprecano i post riassumibili con "ha raccolto quello che ha seminato". Dall'altro, proclami di "guerra". Chi ha le chiavi per accendere o spegnere gli incendi sui social media, che rischiano sempre di estendersi alla vita reale, sembra optare per la prima soluzione. Come Elon Musk, che ai suoi 225 milioni di follower su X ha ripostato un video che riprende un giovane esultare a pochi metri dalla tenda sotto cui si trovava Kirk dopo lo sparo mortale. "Questo psicopatico malvagio si è alzato in piedi e ha applaudito quando Kirk è stato assassinato", il commento del miliardario.

In questo contesto, il dipartimento di Stato ha dato ordine agli uffici sparsi nel mondo di verificare gli account degli stranieri che richiedono un visto per gli Usa, alla ricerca di post inneggianti alla morte di Kirk. Un paradosso per un'amministrazione che pochi mesi fa, alla Conferenza di Monaco, per voce del vicepresidente JD Vance, in nome della libertà di parola aveva bacchettato gli europei per la "censura" imposta sui social media ai contenuti "politicamente scorretti", anche i più deprecabili e violenti.